lunedì 30 ottobre 2017

RIFLETTO(RI) su Marco Lazzara




Oggi il blog ha il piacere e l’onore di ospitare Guerra e Pace sul Retro di una Cartolina e a parlarci del libro sarà lo stesso autore, Marco Lazzara.



Titolo: Guerra e Pace sul retro di una cartolina

Autore: Marco Lazzara

Anno di pubblicazione: 2016

Formato: cartaceo, prezzo € 11,00
Formato: e-book, prezzo € 2,49
Link dove acquistarlo:




Non so se accada anche a voi, ma quando mi accingo ad approcciare le prime pagine di un libro scatta in me una sorta di jukebox mentale che seleziona un brano e quel pezzo diventerà la mia personale colonna sonora di lettura. Talvolta capitano interferenze che complicano l'assestamento della canzone.
Nel momento in cui ho iniziato a leggere Guerra e Pace sul Retro di una Cartolina non ho avuto esitazioni: il brano che lo ha accompagnato dall’inizio alla fine è stato Werewolves in London, di Warren Zevon, uno degli autori più acuti, divertenti, irriverenti e al contempo poetici del panorama rock di tutti i tempi.

Guerra e Pace sul Retro di una Cartolina è composto da una serie di racconti, molto brevi, inseriti all’interno di una cornice, la cui storia si sviluppa parallelamente alla lettura dei diversi brani contenuti. Questa cornice sostanzialmente costituisce un gioco, solo apparentemente spensierato, in realtà molto serio, in cui Marco provoca il lettore con i suoi geniali espedienti narrativi, per poi fornire una sorta di decifrazione in fase finale.

Così, ad attenderci all’interno delle tante perle che si susseguono a ritmo incalzante in questa collana, troviamo una nutrita gamma di personaggi, sempre tratteggiati con la penna intinta nell’inchiostro dell’umorismo più british, che racchiude, più o meno, l’intera umanità. 
Ma procediamo con ordine.

Marco, senza alcun dubbio, possiede un talento letterario notevole e lo dimostra in più modi. Il primo fra tutti è la capacità di abbordarti con insights di grande effetto: poche righe e sei totalmente dentro la storia.
I suoi personaggi, che a prima vista potrebbero sembrare normali, procedendo la lettura rivelano tratti inaspettati; le situazioni quotidiane, anche le più ovvie, si ribaltano e il lettore, una volta addentrato nel primo di questi episodi, diventa consapevole che ad attenderlo ci saranno situazioni impensabili in cui anche le proprie certezze rischiano di essere capovolte.  

Come con l’ascolto del brano di Warren Zevon, in un sottofondo di malinconica ironia che rende “reale” anche la storia più fantasiosa, si viene catapultati nelle esistenze di strani eroi schiacciati dalle loro stesse debolezze e da questa irrisolutezza trapela la frattura della normalità
Insomma, passando attraverso casi spassosissimi, fra i tanti cito quello dell’arsenomaiolina, ci si ritrova di fronte a uno specchio nel quale tutti, prima o poi, temiamo di guardarci.

Non aggiungo altro, se non un accalorato invito a leggere questo libro dalle molteplici e accattivanti atmosfere: grintose, cupe, sognanti.


Biografia dell’autore:
Marco Lazzara nasce a Moncalieri, Torino, il 24 giugno 1984, giorno di San Giovanni Battista, ma anche Notte delle Streghe.
Dopo la laurea in Chimica, si è dedicato alla formazione e all'insegnamento: tiene da diversi anni corsi di chimica, igiene e sicurezza.
È autore di numerosi racconti, raccolti in quattro antologie, in cui ama mescolare i diversi generi letterari in soluzioni diverse e originali.


Ed ecco l’intervista!




[D] Anzitutto vorrei ringraziarti per aver accettato di presentare il tuo libro ai lettori de “L’angolo di Cle”!
Io, come tanti altri, ho avuto il piacere e l’onore di conoscerti attraverso il tuo acutissimo e sorprendente blog, e, in questo modo, approfondire innumerevoli temi da te trattati. Tuttavia, tra i frequentatori di questo piccolo spazio c’è anche chi non è mai approdato su “Arcani” e quindi passo alla domanda “rompighiaccio”: ti andrebbe di raccontare qualcosa di te, Marco, come uomo e come autore?
[R] E io ti ringrazio per avermi voluto ospitare!
Di formazione io nasco come chimico, ma con gli anni sono divenuto un chimico atipico, perché, pur continuando a trattare la mia materia, mi sono anche orientato verso altre direzioni, che mi trovo a utilizzare nel mio lavoro di docente e formatore. L’altra attività che occupa il mio tempo sono i libri: ne ho già pubblicati quattro, e non saranno gli ultimi!
[D] Guerra e pace sul retro di una cartolina è un succulento gioco di narrazione nella narrazione, ottenuta attraverso un sapiente ricorso a tecniche di incastonatura di brevi racconti in più cornici. Di primo acchito, ho pensato a un omaggio al Calvino del Se una notte d’inverno un viaggiatore e alla celebre Mille e una notte. Ma com’è nata realmente l’idea? E quali altri autori e generi, se ci sono (e secondo me, ci sono), ti hanno ispirato soprattutto?
[R] Mentre ultimavo il mio secondo libro, ho cominciato a scrivere una serie di racconti molto brevi, inizialmente pensandoli come intermezzo a racconti più lunghi. A un certo punto mi sono detto che poteva essere interessante realizzare un intero libro solo con questi e mi sono dato come traguardo arrivare a 100. Nel secondo libro i racconti erano inseriti in una cornice (quella degli Arcani Maggiori dei tarocchi) e volevo dare una continuità; così ecco la storia raccontata nel Prologo ed Epilogo. Dopo aver letto Se una notte d’inverno un viaggiatore è nata l’idea di strutturarlo con delle cornici a incastro. Per citare un’altra opera potrei dire L’Atlante delle Nuvole di David Mitchell, che condivide alcuni aspetti col mio libro.
[D] La tua opera, che personalmente ho apprezzato davvero molto, al di là dell’effetto di intrattenimento divertente e spiazzante, offre molteplici spunti di riflessione su tematiche serie solo apparentemente lontane dalla realtà vissuta da ciascuno di noi. Qual è il messaggio principale che volevi veicolare?
[R] “Guerra e Pace sul Retro di una Cartolina” vuol dire essere straordinari, avere la capacità di fare qualcosa apparentemente impossibile, come scrivere il romanzo di Tolstoj sul retro di una cartolina. Ritengo che il vero messaggio del mio libro sia che la vita è imprevedibile, e proprio per questo tanto straordinaria.
[D] Leggendo la tua raccolta di racconti mi son detta: ecco che Marco ci attira ancora una volta nella frattura della normalità, nello specchio in cui tutti temiamo di guardarci. È così?
[R] É qualcosa di cui abbiamo bisogno. Viviamo in un mondo strano, complesso e talvolta pericoloso. Per riuscire a farcela abbiamo bisogno dell’immaginazione, e più le storie che raccontiamo sono strane e complesse, meglio è, perché prima di ogni cosa dobbiamo confrontarci con noi stessi, soprattutto con quegli aspetti di noi che abbiamo difficoltà ad accettare e di cui abbiamo timore.
[D] Ho avuto l’impressione che ciascun racconto echeggi rimandi alla vita di ciascuno di noi: la solitudine, l’emarginazione del diverso, l’ottusità, la caparbietà, l’effimera brama di potere, che inebria e abbruttisce,… Oppure mi sbaglio?
[R] Immagina di percorrere una galleria in cui sono appesi una serie di dipinti. Mentre avanzi, ti soffermi un momento a osservare ogni ritratto, ammirando le sfumature ironiche, quelle discutibili, quelle ammirevoli, quelle esecrabili. E a un certo punto, guardando il soggetto, ti chiedi: “Potrei essere io quello che è stato dipinto?”
[D] Se dico relatività, memoria, giustizia, fatalità, ambiente, cosa risponderesti?
[R] Ognuno di noi è un individuo unico e irripetibile, quindi vede il mondo in maniera personale. La persistenza della memoria può essere oppressiva, ma anche consolatoria. La giustizia è una silente compagna che cerca di farci tenere sempre alta la testa. Non credo al destino: siamo ciò che vogliamo essere. Siamo tutti connessi in un sistema che ci relaziona con noi stessi, gli altri e il mondo attorno e dentro di noi.
[D] Un altro elemento che mi è parso di intercettare in alcuni racconti è l’uso della tecnica del contrappasso: ad alcuni protagonisti riservi un giro all’inferno in compagnia delle vittime del loro odio. In un certo senso, è così anche per il “padre” e McCarthy? E McCarthy è un omaggio all’autore di Non è un paese per vecchi?
[R] Di norma contrappasso è punizione, ma in quel caso diviene perdono e redenzione. Quello è il punto nel libro dove finalmente si capisce cos’è Guerra e Pace sul Retro di una Cartolina, fino poi la conferma nell’Epilogo. La storia, che parla della faida tra due gentiluomini inglesi, ha un sottofondo di umorismo molto british; il nome McCarthy è tipicamente scozzese, e in questo volevo richiamare i contrasti tra Inghilterra e Scozia.
[D] Ad un certo punto, nel tuo libro, c’è uno strepitoso ribaltamento dei ruoli. Ritieni che sia davvero impossibile per chiunque giungere alla conoscenza della realtà?
[R] Per conoscere qualcosa bisogna anzitutto comprenderlo: solo allora è possibile dire di conoscerlo davvero. Il fatto è che noi non comprendiamo la realtà, ma la interpretiamo: non vediamo onde elettromagnetiche, ma immagini; non sentiamo vibrazioni, ma suoni. Non la fruiamo per come è, ma elaboriamo informazioni attraverso il nostro apparato percettologico prima, neuropsicologico poi. Due individui esperiscono la realtà allo stesso modo? È impossibile dirlo, perché un metro non può misurare se stesso. Ci vorrebbe un fattore di confronto esterno. Che però non esiste. E come se questo non bastasse, l’osservatore stesso, già solo per l’atto di osservare, modifica la realtà che lo circonda. Quindi non credo sia possibile la conoscenza essenziale della realtà. Possiamo solo provare a interpretarla. Sperando di azzeccarci.
[D] Uscendo dalla metafora, quali sono per te i migliori pregi di una persona e quali i suoi peggiori difetti?
[R] Per me i migliori pregi sono la compassione, la comprensione e la lealtà; i peggiori difetti l’egoismo, la superbia e l’avidità.
[D] Già attraverso il tuo blog, così come in Guerra e pace sul retro di una cartolina si capisce che la banalità non fa parte del tuo mondo. Sono tantissimi i risvolti inaspettati, i fatti imprevisti, le incisive scene grottesche, i colpi di scena e i finali imprevedibili che si trovano andando avanti nella lettura del tuo libro. Tra letteratura e scienza, quale delle due ha avuto maggior influenza su te e sul tuo stile autoriale?
[R] Credo che entrambe abbiano avuto la loro dose di influenza. Come diceva Primo Levi: “Scrivo perché sono un chimico”.
[D] Anche a te riservo la domanda “pestifera”: cosa pensi del fatto che viviamo in uno dei paesi europei in cui si legge meno?
[R] Secondo me il dato è fuorviante perché considera un punto di vista meramente commerciale, senza tenere conto di biblioteche pubbliche e private. Aggiungo inoltre che spesso è più importante cosa si legge, non quanto si legge. Purtroppo si tende facilmente a confondere la qualità con la quantità.
[D] È arrivato il momento di salutarci e non può mancare la domanda di rito: ci vuoi anticipare qualcosa sui tuoi progetti futuri?
Ti sono enormemente grata, Marco, del tempo che hai dedicato a L’angolo di Cle e ai suoi lettori. È stato un onore e un grande piacere averti qui. Mi auguro che tu voglia tornare presto a trovarci!
[R] Ci sono diversi progetti a cui sto lavorando. Per adesso l’unica cosa che anticipo è che di qui a breve rivelerò il primo di questi.
Ringrazio ancora te e i tuoi lettori: se hanno domande risponderò molto volentieri!


Ora la parola spetta a voi, nel frattempo auguro a tutti una buona settimana! 

  

lunedì 23 ottobre 2017

La donna del XIX secolo 1




Scartabellando nei cassetti saltano sempre fuori cose curiose. Talvolta si tratta di quisquilie, invece in alcuni casi si possono trovare vere e proprie storie pronte per essere raccontate.
L’altro giorno, per esempio, mentre cercavo di mettere un po’ d’ordine nelle scartoffie, mi sono imbattuta in una risma di fogli ingialliti sui quali campeggiavano dei vecchi appunti che avevo preso durante un interessante seminario imperniato sulla storia dell’emancipazione femminile nell’arco dei secoli.
Inizialmente avevo pensato di scrivere un post dedicato all’arte dell’Ottocento, ma l’improvvisa scoperta mi ha suggerito un taglio differente. Così è nata l’idea di ripercorrere insieme a voi la storia delle donne nel XIX secolo, a partire da un quadro.

Ecco l’opera pittorica in questione: 

Giovanni Boldini,
Madame Charles Max,
1896, Musée d'Orsay, Paris.

Boldini (Ferrara, 31 dicembre 1842 – Parigi, 11 gennaio 1931), che è senza dubbio uno dei pittori più celebri della Belle Époque, è divenuto famoso per i suoi ritratti di donne dell’alta società nei quali, oltre a esaltare l’eleganza dei soggetti, cattura attimi fuggenti di un’emancipazione femminile che, via via, osa sempre di più.

Eccomi, dunque, a esporre in sintesi lo scenario che vede le donne protagoniste di un periodo complesso. Vi parlerò brevemente del posto occupato dalle donne nella società di quegli anni, della loro “condizione”, dei loro ruoli e del loro potere. È una bella sfida, ma ci si può provare!

L’Ottocento segna la nascita del femminismo, ma è attraversato da mille contraddizioni. Per esempio, giuridicamente, in tutto il mondo occidentale, la donna è ancora sottomessa al marito e anche se entrando nel mondo del lavoro si allargano i campi dei suoi orizzonti, dovrà passare ancora molto prima che possa disporre del proprio salario.
La Rivoluzione francese aveva posto il problema della donna nella comunità e il dibattito continuerà a scuotere le coscienze, soprattutto sul piano giuridico. Integrare le cittadine nel corpo politico equivale a dar loro potere decisionale e questa ipotesi risulta insopportabile per molti uomini in quell’epoca. Le donne francesi ben presto si accorgono che la loro “cittadinanza” è vuota: non possono esercitare il diritto di voto, non possono partecipare all’elaborazione delle leggi e così protestano. Non sono vere cittadine, ma mogli e figlie di cittadini. Le prime proteste femminili si hanno, per l’appunto, in Francia, al momento dell’instaurazione del suffragio universale del 1848. Quando la Repubblica, nel 1879, viene definitivamente consolidata, le richieste femminili vengono respinte in nome della fragilità del regime.
L’insieme dei paesi latini si presenta refrattario a riconoscimento dei diritti politici alle donne. Diversa è la situazione nei paesi in cui domina il liberalismo riformista, come in Inghilterra. Le inglesi, infatti, guadagnano molti più diritti delle altre europee.

In questo secolo inizia anche il processo di alfabetizzazione femminile un po’ ovunque, processo che scuote molto l’universo maschile e, per contrapposizione, verranno prodotte molte immagini ad hoc, attraverso la letteratura e il teatro. Un vero e proprio sistema di illusioni e miraggi che tendono trappole, tanto più temibili quanto meglio montate, da cui le donne faticheranno a fuggire (la famiglia, la moglie devota, la madre esemplare, e via dicendo…).
La società userà tutta la sua autorevolezza per frenare un’emancipazione nascente fatta di donne che scendono in piazza per rivendicare i propri diritti.
Il potere delle immagini di arte e letteratura del 1800 rappresenta le donne in un inquietante intreccio tra donna, bambola e statua.

Nel 1856 Flaubert pubblica Madame Bovary, adultera, colpevole e vittima dei suoi sogni.
Il 6 marzo 1853, Verdi porta in scena La Traviata, e la commovente prostituta creata anni prima da Dumas, La Signora delle Camelie, diventa una peccatrice che si sottomette alle leggi della famiglia e che si sacrifica, mentre un coro finale sottolinea il suo sacrificio ripetendo “Essa è in cielo”.

Tra il 1848 e il 1874, Wagner scrive L’anello del Nibelungo in cui Brunilde, vergine guerriera, rinuncia all’immortalità per accompagnare Sigfrido nelle tribolazioni sulla terra.

Nel 1847 Baudelaire pubblica la novella Fanfarlo, nel quale il protagonista, certo Samuel Cramer, prova desiderio per Fanfarlo, attrice che ammalia il pubblico interpretando diversi ruoli femminili, solo quando in lei ritrova i personaggi del patrimonio culturale e letterario passato che ama. Tuttavia, Cramer dimostrerà di non provare nessun buon sentimento per quella donna nel momento in cui essa gli si propone “spogliata” dai suoi personaggi. 

Nel 1879, Ibsen, invece, scrive una pungente critica sui ruoli dell’uomo e della donna nell’ambito del matrimonio durante l’epoca vittoriana. L’opera in questione è Casa di Bambola, che l’autore redige apponendo una nota a margine al suo testo: «Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un'altra completamente differente in una donna. L’'una non può comprendere l’altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo».
Sul finale di scena, Nora, la protagonista, sbatte la porta del domicilio coniugale per vivere finalmente per se stessa. Ella è devota al marito, gli ha salvato la vita e gli ha dato due figli. Ma questi rimane incapace di vedere in lei nient’altro che la bambola di cui ha bisogno. L’unica salvezza per Nora sarà la fuga. La sua esistenza avrà inizio solo uscendo dalle mura familiari.

L’analisi della donna dell’Ottocento continuerà con altri post dedicati all’argomento che, se vorrete, potrete tornare a leggere qui.

Ora passo a voi la parola: quali opere, artistiche o letterarie, vi vengono in mente per tracciare la storia femminile di quell’epoca? 

Un caro saluto a tutti e buona settimana!




lunedì 16 ottobre 2017

RIFLETTO(RI) su Nadia Bertolani





Oggi ho l’onore e il piacere di presentarvi un’amica preziosa e il suo romanzo più recente: Nadia Bertolani e “Mariotta, la quarta bambina”.




Titolo: Mariotta, la quarta bambina

Autore: Nadia Bertolani

Anno di pubblicazione: 2016

Formato: cartaceo, prezzo 12,00

Formato: e-book, prezzo 3,99
Link dove acquistarlo:

Questo è un romanzo che cattura fin dall’inizio e si insinua prepotentemente nel cuore del lettore per la capacità dell’autrice di architettare una trama che, snodandosi in un intrigante climax, lo immerge via via nella suggestiva descrizione delle mille fragilità dell’animo umano, luoghi dalle atmosfere inquietanti, scabrosi misteri, potenti e inaspettati sviluppi.
Mariotta la quarta bambina è un libro introspettivo, dove nulla è banale. Dotato di un intreccio che permette di esperire un carosello di emozioni che vira dai toni più cupi a quelli più luminosi, spinge chi legge a porsi domande sul proprio percorso evolutivo, dall’infanzia all’età adulta, e a sentirsi libero di interpretarne il finale a propria discrezione.

Fiammetta, la protagonista, donna intelligente, colta, bella e sofisticata, vive agiatamente a Parigi con Nicola, marito tenero, innamorato, nonché illustre e amato scrittore di fiabe.
Nonostante l’apparente vita tranquilla e invidiabile, ella è tormentata dal passato che le si ripresenta ossessivamente in sogno attraverso Mariotta, la compagna di gioco dell’epoca in cui, ancora bambina, viveva a Torralta. Quel ricordo incompleto, spezzato, cela un terribile segreto che poco alla volta spegne ogni suo entusiasmo nella vita quotidiana, minaccia di mandare all’aria il suo matrimonio e, soprattutto, rischia di offuscarle la ragione.
Nicola, sempre più preoccupato dal repentino manifestarsi di disturbi dell’umore accusati dalla moglie, tenta di farle recuperare l’equilibrio invitandola a sottoporsi alle sedute di un esperto psicanalista.
Questo non è che l’inizio della storia.

In occasione di un premio letterario, il romanziere viene invitato a presenziare alla cerimonia di consegna che avverrà proprio a Torralta dove, nonostante una buona dose di ritrosia, lo seguirà anche Fiammetta. Il ritorno in quel luogo darà vita al riaffiorare di intense immagini legate all’infanzia che, dipanandosi pian piano, sveleranno nuovi contorni e indurranno la donna a fare i conti con inediti frammenti emersi dall’oscurità del passato e dalle nebbie della mente.
Nadia Bertolani ci regala un encomiabile spaccato psicologico dei protagonisti, ma soprattutto raffinatissime pagine giocate sul registro “fantastico”, attraverso le quali, oltre ad emergere senza ipocrisie luci e ombre di adulti e bambini, spicca un’acuta riflessione sul senso del tempo.
Come dicevo, la prosa è molto raffinata e colta, eppure scorrevolissima e assai piacevole grazie alla grande maestria dell’autrice nel dosare tempi e tonalità. La narrazione, che si sdoppia su due piani temporali apparentemente paralleli, il presente e il passato, è volutamente lenta, quasi melodrammatica nella prima parte, con l’insistita e doverosa descrizione delle sofferenze interiori che la protagonista vive a causa dell’ingombrante presenza di Mariotta nei suoi sogni. Diventa incalzante, piena di suspense e di colpi di scena nella seconda, sia durante il soggiorno a Torralta, che nel ritorno a Parigi, quando Fiammetta si imbatte nelle nuove cupe verità.  

Non aggiungo altro, se non che consiglio vivamente la lettura di questo piccolo gioiello!

Biografia dell’autrice:
Nadia Bertolani è nata a Mantova e vive in provincia di Parma.
Ha insegnato Lettere presso l’Istituto d’Arte di Parma e ha scritto diverse pagine di critica nei cataloghi degli amici pittori.
Solo nel 2002 avviene la svolta che la porta a pubblicare il primo romanzo, “L’uccellino di Maeterlinck”, edito da Tre Lune edizioni.
In seguito, rispettivamente nel 2011 e nel 2012, pubblica “Di pietra e di luna” e “Brumby, l’orizzonte degli eventi” su Ilmiolibro.it.
Ha pubblicato numerosi racconti vincendo prestigiosi concorsi letterari..
Mariotta, la quarta bambina”, edito nel 2016 ancora una volta sul sito ilmiolibro.it, è stato selezionato dalla giuria della Scuola Holden ed è attualmente in lizza tra i finalisti del concorso ilmioesordio.

Ed ecco a voi l’intervista promessa:

[D] Nadia, noi ci conosciamo da anni e ogni volta che incontro un tuo scritto lo immagino letto dalla tua inconfondibile voce, calda e profonda. Ti andrebbe di raccontare ai lettori di questo blog qualcosa di te, come donna e come autrice di romanzi e racconti?
[R] Sì, ci conosciamo da anni e io non dimenticherò mai “la biondina” che era venuta fino a Borgo Taro per la presentazione del mio Brumby. Ho pensato allora, e lo penso anche adesso, che il tuo era stato un “viaggio” molto generoso: sei diventata da subito la mia Darling Clementine. Come vedi, temporeggio, perché parlare di me mi riesce molto faticoso; in breve, ho occupato buona parte della mia vita impegnandomi nelle battaglie femministe (come sai, non sono giovane) e immergendomi in una politica tutta rivolta alla difesa dei diritti civili, ho avuto due figli a distanza di dieci anni l’uno dall’altro (dopo il primo avevo giurato a me stessa che sarebbe rimasto figlio unico, poi ho imparato che è meglio evitare i giuramenti e soprattutto che non si deve mai scommettere su se stessi) e ho “osato” cominciare a scrivere alla soglia dei 50 anni. La spinta a farlo è stata l’improvvisa consapevolezza che molto del mio tempo se n’era già volato via senza che io sapessi “veramente” cosa era successo prima di me. Tu sai che “L’uccellino di Maeterlinck” nasce dal desiderio di recuperare parte di un passato che mi riguardava ma che non mi era stato mai raccontato. Da allora provo a scrivere e alterno le sensazioni che ne derivano: a volte contentezza, piacere, stima di me stessa, altre volte dubbi, esitazioni, spleen, paura di avere presunto troppo.
[D] Ecco un punto molto interessante! E, infatti, in “Mariotta la quarta bambina” il tempo è un grande protagonista: il passato viene continuamente accumulato e i tempi successivi non sono mai omogenei tra loro. Essi recuperano quelli precedenti, come nella metafora di Bergson del gomitolo e della valanga, in modo che tutto resta presente e si arricchisce continuamente. Insomma, secondo te, la vita è davvero come una frase, dove basta inserire una virgola per far cambiare non solo ciò che viene dopo, ma anche ciò che c’era prima?
[R] Proprio così, dici bene. Ho la certezza che quello che ricordiamo ci appare attraverso la lente deformante dell’oggi e che domani lo stesso identico ricordo avrà tinte completamente differenti. Come sai, i “falsi ricordi” sono trappole in cui cadiamo inconsapevolmente e, soprattutto, il nostro passare attraverso le maglie del tempo ci illude o ci delude in ugual modo. Non è un caso che io scelga spesso, per raccontare, il tempo verbale Presente, perché è pluriprospettico, illude che la profondità in cui sono precipitate le azioni del passato possa combaciare con la vicinanza del presente. Del resto, Fiammetta, la protagonista del romanzo, e il marito dimostrano di saperlo bene quando parlano dei tempi perfetti e imperfetti, cioè dei tempi verbali che raccontano fatti conclusi e irripetibili i primi, e fatti ricorrenti i secondi. Fiammetta crede che non possa esistere il tempo verbale Perfetto, che nulla è mai concluso del tutto. E questo è poi dimostrato nel finale del romanzo. Sì, la questione del tempo è cosa che mi affascina e mi piace collegarla alle regole misteriose che presiedono al linguaggio e alla sua grammatica.
[D] E tu sai farlo con grande maestria! Proseguendo le riflessioni, inevitabilmente, colgo altri due temi fondamentali nel tuo romanzo: la memoria e i luoghi. Proust sosteneva che nella memoria non vi sia nulla che si perda, a patto che si faccia distinzione tra l’avere memoria e il rammentare. Per Proust esistono dei modi per far emergere ciò che sembra scivolato nell’oblio. Celebri sono le pagine del thè con le madeleine, quando racconta dei sapori e degli odori di quei biscotti che gli ricordano il passato. Nel tuo romanzo, l’elemento evocatore è Torralta, quindi un luogo. Ti andrebbe di raccontarci la genesi della tua opera e il senso di questo luogo?
[R] Mariotta è opera di invenzione, ma, come diceva qualcuno, paradossalmente le autobiografie migliori sono le storie inventate; c’è molto di noi quando “inventiamo”. Ecco dunque che Torralta è una Mantova camuffata e rimpicciolita e che il Giardino della Torre è il giardinetto spoglio del Castello Ducale dove giocavo da piccola; naturalmente il “bambino nano” non è mai esistito, naturalmente nessuno mai è caduto dalla Torre ma molto, moltissimo dei ricordi della mia infanzia è legato alle vicende delle “bambine che trotterellano”. Eccola la genesi della mia invenzione: una filastrocca, tre bambine, la mia infanzia e un incubo. Come potremmo vivere senza qualche incubo? E tra gli incubi che penso non abbiano mai risparmiato nessuno c’è quello della caduta nel vuoto. Collegare l’incubo della caduta alla Torre e alle bambine è stato quasi obbligatorio. Lo vedi? Torniamo a quello che si diceva prima: passato, futuro, memoria e invenzione hanno il loro naturale esito in una storia. Ma anche in due, tre, infinite storie, tante quanto sono i nostri “passati”. Che la Torre sia l’elemento che permette a Fiammetta il recupero della memoria è solo in parte vero perché, per prima cosa lei recupera un falso ricordo e, come seconda cosa, il recupero avviene nel bel mezzo di una festa dove quasi tutti sono mascherati; dunque, un bell’inganno! 
[D] Eccome! Se dico istinto e coscienza, identità e alterità, cosa risponderesti? Possiamo dire che anche queste tematiche avvolgono e compongono la storia di Mariotta, o no?
[R] Direi che è l’ambiguità a presiedere a tutte le fasi del racconto perché il tema, a dispetto della presenza di uno psicoanalista impettito, non è tanto quello della coscienza o dell’Es, ma il vero tema è “il fantastico”. Io non amo il genere “fantasy” proprio perché so con certezza, in qualsiasi momento, che quello che leggo o guardo non è reale, non esiste, ma con il fantastico è tutta un’altra faccenda: si legge, si guarda e… si esita. Magari solo per un attimo, ma in quell’attimo, quello in cui non sappiamo trovare una spiegazione razionale, quello in cui ancora non abbiamo scelto se “credere” o “non credere”, ecco, in quell’attimo di esitazione siamo nel pieno del fantastico. Non per caso quando Fiammetta visita il Cimitero di Père Lachaise si imbatte proprio nella tomba di Gerard de Nerval, autore di pagine “fantasticamente” ambigue. Non per caso Fiammetta sposa uno scrittore di fiabe. Quanto all’identità, certo, l’identità è tema importante ma anch’esso irrisolto perché anch’esso collegato alla dimensione fantastica di cui ti ho parlato: qual è l’identità del “bambino nano”, quale quella della “Donna Nera”, quale, soprattutto quella di Mariotta?
[D] Non a caso la narrazione di questo tuo romanzo prevede un continuo dispiegarsi del sogno nella realtà… Cara Nadia, mi rendo conto che ciò che sto per chiederti suonerà un po’ scontato, ma tant’è. Parliamo di Nicola, il marito di Fiammetta: tu che lo conosci meglio di chiunque altro, come lo definiresti?
[R] Ho ricevuto qualche critica riguardo a Nicola: un buono troppo buono, mi hanno eccepito, quasi irrilevante ai fini dell’intreccio, ma non è così; a ben guardare, questo scrittore di fiabe tanto più vecchio della moglie ha, rispetto a lei, un maggiore vigore nell’affrontare la vita, direi che sotto quella veste di uomo tranquillo, un “homo” più che un “vir”, sa muoversi “prosaicamente” sul terreno delle ossessioni di Fiammetta, sa governarla, per lo meno fino a un certo punto... È paziente ma non succube, è creativo ma non avulso dalla realtà, è protettivo e dotato di humor. 
[D] A me piace davvero un sacco quel personaggio e ti ringrazio di quest’ulteriore conferma. Ora, vorrei porti un ultimo quesito su “Mariotta”: il viaggio introspettivo è sempre presente nei tuoi romanzi e mi ha sempre affascinato. Penso a “Brumby”, penso a “Di pietra e di luna”. In “Mariotta” il viaggio torna a presentarsi e assume una forma  ancora più intensa. Qual è l’affinità, se esiste, tra ciò che un autore scrive e ciò che esperisce nella sua esistenza e cosa è cambiato nel tuo stile dall’inizio a oggi?
[R] Ti devo confessare che, quanto più amo i romanzi del Naturalismo francese o del realismo inglese e quanto più mi affascinano i romanzi gialli, tanto più mi sento incapace o impossibilitata a seguirne le orme. Ogni volta che scrivo mi accorgo che non sono tanto brava a raccontare o descrivere fatti e scene desunte dalla realtà. La mia cifra stilistica è decisamente quella onirica, un “realismo magico” in formato ridotto, una discesa negli abissi dei pensieri più nascosti… Il ruolo del Destino in “L’uccellino di Maeterlinck”, la Vergogna e la Colpa in “Di pietra e di luna”, l’Inettitudine al vivere in “Brumby” e la magia dell’infanzia in “Mariotta”. Non sono sicura di sapere quale sia l’origine di questa preferenza, ma credo che moltiplicare me stessa nei Personaggi che invento sia una forma di autoanalisi, forse di autoassoluzione. Quanto allo stile, forse la mia scrittura ha perso rigidità rispetto alle mie prime pagine, il che è un bene, ma rimango ossessivamente ancorata alla ricerca della parola più adeguata, quella meno “consumata” dall’uso, all’inseguimento del ritmo incalzante o meno a seconda delle esigenze narrative, al tentativo di evitare melensaggini sciatte da una parte ed eccessivi formalismi dall’altra.
[D] In milanese si dice “inscì vèghen”, cioè averne di scrittrici come te! Adesso passiamo alla domanda “pestifera”. Viviamo in uno dei paesi europei in cui si legge meno. Cosa pensi della crisi editoriale in Italia?
[R] Uh, Clementina, che domandona! Ce ne sarebbe da dire! Ma io, per esperienza e per convinzione, ribadisco che la scarsa attenzione (di tutti, ribadisco, non solo delle scelte politiche) alla scuola sia uno dei motivi più forti di questa “distrazione”; sai qual era l’obiettivo che mi prefiggevo ad ogni inizio di anno scolastico? Che gli studenti si appassionassero alla lettura. Ci sono riuscita? Non sempre, ma qualche volta sì! Quanto agli Editori, una volta ero una critica più severa, oggi li posso anche capire! Io stessa come lettrice fatico moltissimo a rimanere aggiornata sui titoli che escono quotidianamente in grandissimo numero. Certo che se gli Editori fossero meno sensibili alle sirene del mercato potremmo avvantaggiarcene tutti. Vorrei poi da queste pagine rivolgere un invito a tutti i genitori: leggete per e con i vostri bambini, qualcosa resterà.
[D] Condivido ogni tua parola. Ma andiamo avanti. Sei tra i finalisti del concorso indetto da ilmiolibro.it. Il tuo romanzo è stato selezionato direttamente dalla giuria della Scuola Holden e se vincesse verrebbe pubblicato da Newton Compton. Dopo tanti anni di auto-pubblicazione, che significato assumerebbe ai tuoi occhi questa circostanza?
[R] Ho già sperimentato con la Casa Editrice Tre lune di Mantova la pubblicazione del mio primo romanzo, ma, se devo essere sincera, senza una Distribuzione capillare e senza una campagna pubblicitaria adeguata non si va molto lontano. Venti anni fa, forse, mi sarei spesa di più per la promozione delle mie pubblicazioni. Oggi, mi sento felice e soddisfatta dei miei “25 lettori”.
[D] Glisso sui “25 lettori”, invece ritengo che tu abbia detto una grande verità quando sostieni che la distribuzione capillare e il battage pubblicitario sono elementi fondamentali. Che suggerimento daresti a un aspirante scrittore?
[R] Di non perdere tempo. Di non perdere le speranze. Di leggere moltissimo. Di non accontentarsi mai.
[D] È arrivato il momento di salutarci e non può mancare l’ultima domanda di rito: ci vuoi anticipare qualcosa sui tuoi progetti futuri?
[R] Sono un bradipo: da più di due anni mi arrovello su un progetto che ancora non decolla. So di cosa voglio parlare, ma i miei Personaggi non mi vogliono ancora svelare chi sono veramente. Appena avrò raggiunto qualche certezza sarai la prima a saperlo.
Ti sono enormemente grata, Nadia, del tempo che hai dedicato a L’angolo di Cle e ai suoi lettori. È stato un onore e un grande piacere averti qui. Mi auguro che tu voglia tornare presto a trovarci!
[R] L’onore è mio. Grazie di avermi ospitata.

Bene, il post si conclude qui. 
A presto, dunque e buona settimana a tutti! 


venerdì 13 ottobre 2017

Tarocchi classici: Arcani Maggiori. L’Imperatrice/12



figura 1


Prosegue la serie dedicata ai Tarocchi con l'analisi del terzo arcano maggiore: L’Imperatrice.
Alcuni sostengono che la figura di questo trionfo rappresenti l’imperatrice Teodora. In verità, su questa correlazione ho trovato pochi cenni disseminati qua e là (es. la presenza della corona e dello scudo dove l’aquila si accompagna alla croce), ma non nei testi degli autori cui normalmente faccio riferimento.

Tuttavia, per quanto mi riguarda, tra le varie connessioni proposte (la Venere Urania dei greci, la Pistis Sophia degli gnostici e così via) quella relativa alla sovrana bizantina è la più affascinante e convincente. Vi riassumo per sommi capi qualcosa della sua vita …

figura 2


Teodora nasce, intorno al 500 d.C., in una famiglia di umili origini. Il padre lavorava come guardiano degli orsi all’ippodromo di Bisanzio e la madre era un’attrice. Il mestiere di attrice a quell’epoca si caratterizzava per una discreta libertà di costumi ed era di per sé ritenuto infamante.
Di lei è stato scritto che fu “attrice e cortigiana di bassa lega”, cioè una prostituta che si dava alle attività più abiette. Quest’opinione dispregiativa ha accompagnato il suo nome per oltre un millennio.
L’autore più spietato nei confronti di questa donna, divenuta in seguito consorte di Giustiniano, imperatore dell’impero romano d’oriente e condotta al trono con il titolo di Augusta, fu Procopio, avvocato, storico militare e politico bizantino.

Ma andiamo con ordine.
Pare che Teodora, donna bellissima che fino all’età di vent’anni (forse anche molti meno) si esibiva come mimo all’ippodromo di Bisanzio, attirando un pubblico sempre più numeroso, incontrò l’amore più grande della sua vita durante la messa in scena di una rappresentazione teatrale. Nel 522, ad assistere allo spettacolo giunse Giustiniano, che a quei tempi era un quarantenne non ancora insignito del titolo di imperatore e tra i due scoppiò un colpo di fulmine.
Lui ne fece subito la propria amante chiedendo all’allora imperatore in auge, Giustino I, che era pure suo zio, di concederle la dignità patrizia e una licenza speciale, per poterla sposare.
L’imperatrice Eufemia, moglie di Giustino I, si oppose con fermezza alla richiesta: quell’unione era troppo scandalosa per essere ufficializzata. Ma Eufemia morì l’anno successivo e Giustiniano vide esauditi i suoi desideri. Tra il 524 e il 525 sposò Teodora.
Bisogna, però aggiungere un dettaglio non trascurabile a questa storia.
Pochi anni prima di conoscere il futuro marito, Teodora era stata la concubina di un certo Ecebolo, allora governatore di Tyro, importante centro della Libia. Oltre al viaggio in Libia, la giovane ne aveva precedentemente compiuto un altro, molto più misterioso, in Siria, dove era entrata in contatto con gli esponenti del clero cristiano monofisita.
Convertita al cristianesimo, Teodora ha iniziato ad affrancarsi dal mestiere di attrice per dedicarsi ad attività, come lavorare al telaio, che le permettevano di sottrarsi agli sguardi del pubblico. Ma della sua giovinezza, in verità si sa molto poco.  

Quel che è certo è che da quando Teodora entra nella vita di Giustiniano assume un ruolo di primo piano nell’elargire consigli militari e politici.
Giustiniano, infatti, viene incoronato imperatore nel 527, in un’epoca in cui Costantinopoli era impegnata in un complicato conflitto con i Persiani e non mancavano gruppi eterogenei di avversari che provocavano un clima di sommosse per insidiare i palazzi imperiali.
Con il contributo della moglie, l’imperatore porta a casa una serie di successi militari e civili, tra cui l’impegno a portare a termine un grandioso programma di riedificazione e ingrandimento urbanistico. Durante il suo dominio, a Costantinopoli, vengono costruiti acquedotti, ponti e un rilevante numero di chiese, la più spettacolare di tutte è senza dubbio Santa Sofia.
Ma il segno distintivo di questo sovrano, che resterà nella storia come l’elemento di spicco della sua attività, ciò che gli ha garantito l’immortalità, è la raccolta di leggi che è tuttora alla base della civiltà giuridica di molti paesi: il Corpus Iuris Civilis.

La legislazione di Giustiniano influenzò in modo rivoluzionario la condizione femminile. Grazie ad essa vengono conservate antiche leggi sul matrimonio, come quelle sulla dote e le mogli possono accedere più facilmente al patrimonio del marito in caso di divorzio o vedovanza. Alla vedova, viene riconosciuta la quarta giustinianea, un diritto sulla quarta parte del patrimonio del marito. 
Giustiniano propugna leggi sul divorzio e l’adulterio e si preoccupa di sostenere le cosiddette “donne perdute”, tra cui le attrici.
Per questo favore verso le donne guadagna l’appellativo di legislator uxoris.
A Teodora viene tributato il titolo di “paladina delle donne” per il suo impegno in una guerra senza quartiere contro la prostituzione, particolarmente odiata dagli sfruttatori, oltre che in difesa della figura della moglie all’interno dell’istituto giuridico del matrimonio. Inoltre, secondo il parere comune degli storici, a lei va il merito di aver salvato il trono al marito in più di un’occasione.

Ciononostante la sua figura è stata consegnata ai posteri con le tinte più fosche e i racconti più infamanti.
Ed ecco che rispunta fuori Procopio, il principale responsabile della pessima reputazione dell'imperatrice.
Nell’anno dell’ascesa al trono di Giustiniano, Procopio passa al servizio del generale Belisario, un personaggio di rilievo in questa stagione, più volte sospettato di cospirazione contro l’imperatore e in seguito riabilitato. Al fine di screditare il suo generale, Procopio scrive otto libri che avrebbero dovuto contenere il racconto ufficiale dei conflitti dell’epoca e, oltre a questi testi, redige un libello diffamatorio, intitolato Storia segreta, nel quale dipinge Giustiniano come un crudele tiranno e Teodora come “l’imperatrice venuta dal bordello”.

A distanza di molti, molti secoli, fortunatamente la verità è venuta a galla, restituendoci l’immagine di una strenua sostenitrice della dignità e dei diritti delle donne.

E ora passiamo all’analisi della carta dal punto di vista dei Tarocchi di Marsiglia, sempre attraverso gli spunti forniti dai testi di Laura Tuan e Alejandro Jodorowsky.

figura 3
Una donna siede su uno scranno le cui colonne sono diventate due ali. Nella destra tiene stretto uno scudo sul quale è raffigurata un’aquila con le ali aperte, nell’atto di volare; nella sinistra impugna uno scettro sormontato da un globo con la croce.
Di fatto, essa è seduta ma ha le ali, è fissa ma è volatile. In pratica, questa carta indica il passaggio attraverso le contraddizioni. L’Imperatrice corrisponde all’azione intesa come sintesi degli opposti, su ogni piano: intellettuale, fisico, psichico.

Secondo la Tuan, quest’arcano rappresenta la “scintilla mentale” o la “intelligenza creatrice”, Jodorowsky parla della “luce intelligente del cuore dell’Imperatrice” e della abile consigliera, il libro di Omar e Zaira si sofferma sul termine “illuminazione” per descrivere il carattere di questo trionfo.
Addirittura, Jodorowsky, immaginando di sentir parlare l’Imperatrice, le fa dire: “Non statevene lì nella vostra fortezza! Trasformatela in tempio, con tutte le porte e le finestre spalancate, tutte le vostre emozioni sono una delizia […] Seguite le mie idee, diventerete un essere luminoso […]”

Ma veniamo al significato della CARTA AL POSITIVO:

Quando nel gioco esce diritta o in posizione favorevole, assicura energia, dinamismo, intelligenza, chiarezza di idee.
È l’arcano più favorevole a chi ha fatto della mente lo strumento professionale per eccellenza. I suoi significati, infatti, sono connessi a studio, scienza, comprensione, realizzazione pratica delle idee, capacità di dar vita a progetti grandiosi e inediti, in una parola: creatività!
Le sue ali rimandano alla comunicazione in tutte le sue forme, ma l’Imperatrice è anche e soprattutto femminilità, bellezza, intuito, fascino.
A livello affettivo ci parla di un incontro importante che nasce all’insegna della dolcezza e della lealtà.
A livello professionale indica prestigio, meriti riconosciuti, abbondanza e benessere materiale.
Sul piano fisico si riconduce alla ripresa in seguito a una malattia o a una fase di défaillance.
Dal punto di vista delle persone fa riferimento a una donna  giovane e intelligente.

IN NEGATIVO i suoi attributi si rovesciano, pertanto si parla di malizia, falsità, sotterfugio, presunzione, arroganza, indecisione, giudizi poco centrati.
E ancora, intralci sul lavoro, bocciature per gli studenti, insoddisfazioni, affari sfumati, esaurimento.
La persona giovane e intelligente che trovavamo in positivo si trasforma in una falsa amica, immatura, inaffidabile e cinica.

Cercando i motivi che mi hanno spinta a sostenere la tesi del legame dell’arcano con Teodora, ho tenuto conto di alcuni aspetti:

  1. il titolo di imperatrice
  2. il carattere forte, l’indubbia intelligenza, la attitudine a fornire consigli saggi
  3. il passaggio attraverso contrasti, critiche, opposizioni, che è possibile solo quando si possiede un progetto importante cui si tende con coraggio
  4. la caparbietà nel consigliare il marito a portare a buon fine un disegno tanto rivoluzionario quanto straordinario come quello di difendere i diritti delle donne, quindi la sua intelligenza sociale.




Orbene, prima di passare ai saluti, ecco le domande di rito:

Che impressioni vi fa questa carta? 

Quali elementi vi colpiscono di più? 

Che idea vi siete fatti di Teodora? La trovate accostabile o distante alla figura del tarocco?

Il blog si aggiorna lunedì, a tutti voi l'augurio di un felice week end!




BIBLIOGRAFIA:

Giorgio Ravegnani, Teodora. La cortigiana che regnò sul trono di Bisanzio, Salerno ed.

Laura Tuan, Il linguaggio segreto dei Tarocchi, ed. De Vecchi 

Alejandro Jodorowsky, Marianne Costa, La via dei Tarocchi, ed. Feltrinelli


ICONOGRAFIA:

  1. L’Imperatrice dal mazzo della collezione Pierpont-Morgan, Wikipedia
  2. Particolare dell' imperatrice Teodora, mosaico, Basilica di San Vitale, Ravenna, Wikipedia
  3. L’Imperatrice dal mazzo di Tarocchi Marsigliesi, Scarabeo ed., scatto personale