venerdì 8 settembre 2017

L'incontro 1/3




Buon venerdì a tutti!

Ultimamente sono poco presente sul web, non riesco ancora a seguire come vorrei i blog degli amici e mi affaccio raramente sui social.
Mi piacerebbe dirvi che tutto ciò dipende dalla necessità di assolvere una serie di impegni lavorativi, ma non è così.
In realtà non so bene cosa mi stia accadendo, ma sento il bisogno di prendermi ancora un po’ di tempo prima di buttarmi a capofitto a commentare qua e là.
Non si tratta di banale svogliatezza o del desiderio di rimanere immersa in attività ludiche di vario tipo o, ancor peggio, di arroganza. Ho bisogno di raccogliermi a riflettere su un po’ di questioni per me importanti.  
Nel frattempo, però, vorrei continuare a pubblicare qualcosa in questa mia piccola piazza perché ci tengo molto a mantenere vivo il legame con tutti voi.

Cercate di perdonarmi, se potete. Vi chiedo solo di avere un briciolo di pazienza… tutto è destinato a trasformarsi e cambierà anche questo mio stato d’animo orsino… spero presto!

Ecco allora che, dopo il felice riscontro di Evelina, torno a proporvi un altro mio racconto che si articolerà in tre capitoli. Il suo titolo è: L'incontro.

Si tratta del profondo rimaneggiamento di una mia precedente novella, pubblicata in una antologia redatta da autori vari, qualche anno fa, a cui partecipai. 
Inevitabilmente tra i miei lettori abituali c'è chi conosce la vecchia versione. 
Vorrei precisare a questi amici che alcune parti della nuova narrazione coincidono con l'originale, mentre altre sono completamente inedite.  

Il primo capitolo, dunque,  inizia oggi, mentre gli altri due sono stati programmati per i prossimi venerdì.

Spero di non tediarvi con i miei malsani elaborati, nel caso vi basterà semplicemente evitarne i post ;-)


Vi abbraccio augurandovi buona lettura e buon fine settimana!


L'incontro
Capitolo 1


Van Gogh, Sulla soglia dell’eternità, 1890, Museo Kröller-Müller, Otterlo

Un’improvvisa folata di aria gelida e pungente attraversa la lana sgualcita del cappotto di Umberto. Nel procedere verso il cancello aperto che lo condurrà fuori dal carcere, dove è rimasto per trent’anni a scontare la pena comminatagli per un omicidio commesso durante una rapina in banca, alza il risvolto del colletto cercando un po’ di riparo.
Non c’è nessuno ad aspettarlo là fuori e non c’è mai stato: non ha moglie, non ha figli, non ha parenti. È un uomo solo. 
La strada è quasi vuota. Intravede a fatica la sagoma di una donna in lontananza, probabilmente una custode che pulisce il marciapiede davanti al portone del palazzo in cui abita, prima che inizi il viavai della gente che esce per recarsi al lavoro. Passa un cencio sulle spesse lenti degli occhiali, li rinfila sul naso con mano tremante e si avvia con passo incerto verso la fermata degli autobus. Controlla il tragitto sulla locandina appesa ad un palo e aspetta, paziente. Arrivato alla stazione ferroviaria, acquista un biglietto di sola andata per Varazze. Vuole rivedere il mare, sognato così tante volte in quell’angusta cella. È il luogo verso cui avrebbe voluto fuggire. Solo il suo ricordo sfumato gli ha dato la forza di sopportare quella lunga, ingiusta detenzione. 
Si avvia verso la banchina lungo la quale transiterà il suo convoglio e, con la coda dell’occhio, scorge uno sparuto gruppo di uomini infreddoliti fermo a chiacchierare. Allora, come a cercare protezione contro gli sguardi indiscreti, si stringe nel loden, appoggia accanto ai piedi la piccola borsa nella quale sono raccolti tutti i suoi miseri effetti personali e rimane in disparte. Sale sul treno cercando il posto assegnato dal bigliettaio e si accorge che sul vagone non c’è nessuno. 
«Meglio così» si dice «starò più comodo e non sarò costretto a conversare con qualcuno a tutti i cost 
Mentre è intento a osservare il paesaggio che scorre sempre più veloce fuori dal finestrino, seguendo il ritmo della locomotiva, la sua mente torna al giorno del delitto. Quel colpo in banca sembrava un’idea perfetta, ma del resto, giacché nessuno dei tre complici apparteneva alla sfera dei professionisti del crimine, l’ipotesi rimaneva ancora tutta da dimostrare.
Era una calda giornata di luglio. Lui e Federico, frequentatori dello stesso bar di paese, erano arrivati davanti alla sede da svaligiare. Federico, a cui era stato assegnato il ruolo di palo, era rimasto come convenuto dentro l’auto ad aspettare. Guido, la ‘mente’ del gruppo, un  nuovo amico incontrato in un giorno di vacanza passeggiando sul lungomare, si trovava già dentro all’istituto di credito perché vi lavorava come cassiere. Umberto era entrato, come previsto, si era avvicinato allo sportello e aveva iniziato la messinscena. Puntando la pistola verso il complice, gli aveva intimato, con voce stentorea, di consegnare i soldi. 
C’era un solo cliente quella mattina, il giudice Lo Iacono che, nel tentativo di convincere il ladro a rinunciare alla rapina, aveva iniziato a borbottare. Il nostro uomo, ignorando il consiglio dell’avventore, scavalca il bancone per iniziare a prelevare la refurtiva e nel procedere continua a puntare il revolver contro Guido che, da bravo attore, seguita a recitare la parte dell'impiegato impaurito. Tutt’a un tratto e senza nessuna spiegazione, quest’ultimo infila un paio di guanti, tenuti fino allora ben nascosti. Con questi addosso, strappa la pistola dalla mano dell’amico e, puntando l’arma contro il magistrato, spara un colpo, uccidendolo.  
Come si sono svolti successivamente i fatti è cosa nota: Federico si è volatilizzato, scomparendo nel nulla, Guido ha incolpato Umberto del delitto e tutti gli hanno creduto.
Già, è andata proprio così, e non è nemmeno un caso se gli uomini, con i quali Umberto ha condiviso tanti anni di forzata compagnia, lo hanno sempre definito ‘uno tutto d’un pezzo’. Uno che, nonostante il tradimento da parte dei suoi complici, non ha mai fatto il loro nome durante gli infiniti e interminabili interrogatori, assumendosi ogni colpa. 
Perché tacere? Perché accettare di pagare un castigo tanto duro quanto ingiusto? Queste semplici domande, tanto ovvie a noi che viviamo lontani dalle frange equivoche della società, non hanno mai nemmeno sfiorato i suoi pensieri. Non appartengono al suo modo di essere e di intendere le relazioni. Se qualcosa accade, accade e basta. Le lagnanze non servono a nulla. Questa è sempre stata la sua opinione a riguardo e non si può negare che dietro ad essa, in fondo, vi si possa leggere una stravagante concezione che considera le vicende umane governate da un destino già tracciato. Va da sé che in tutti quegli anni quest’uomo non ha mai cercato notizie dei due compari e non ha nemmeno mai sfogliato un giornale per non rischiare di trovarne traccia, avendo giurato a se stesso di non voler più saper nulla di loro.  Ma la mente è un nemico assai raffinato, subdolo e importuno: finge, con grande abilità, di rispettare le tue decisioni, ti illude di essere l’unico a poter condurre i giochi, per poi svelarsi all’improvviso e infierire il colpo di grazia. E così, quando non te lo aspetti, quando sei convinto di aver la situazione sotto controllo, quando credi di averla in pugno e ti sei persuaso ormai di aver rimosso definitivamente i ricordi scomodi dalla memoria, eccola che torna riproponendoti quei frammenti di pensiero, fino al tormento.
Vano è stato il tentativo di liberarsi di quel fardello. I gesti, gli sguardi, le fisionomie dei volti, le frasi, tutto ciò che era avvenuto quel giorno aveva marchiato in modo indelebile un angolo recondito delle pieghe delle sue contorte congetture, con profonde cicatrici che ogni notte, durante quegli interminabili anni, si riaffacciavano in superficie riaprendosi in dolorosissimi squarci. Ogni volta che costui si assopiva nel tentativo di trovar pace e riposo, quelle laceranti ferite tornavano, impetuose, a reclamare vendetta, per poi sparire al risveglio, inghiottite dal limbo. 
Indugiando sulle antiche reminiscenze, gli cade lo sguardo sopra un quotidiano locale, abbandonato in bella mostra sul sedile accanto. In prima pagina, inevitabile e pronta a esibirsi davanti ai suoi occhi, campeggia la foto di Guido, invecchiato ma riconoscibile. La foto è abbinata a un titolo che descrive quel signore, ben vestito e dal sorriso smagliante, come un grande industriale, potente, ammirato e corteggiato da tutti.
Improvvisamente nasce in lui un violento moto di repulsione, ma un istante dopo si sente sfiorare la spalla. Sapendo di essere l’unico passeggero in tutto il vagone, estrae il biglietto dalla tasca dei pantaloni e si volta, convinto di doverlo mostrare al controllore.
Invece, accade qualcosa che lo fa balzare all'indietro dallo spavento. 




Lasciate un commento, se vi va...

Il secondo capitolo verrà pubblicato venerdì prossimo!


Ciao! :-)


  

8 commenti:

  1. Grazie per la prima puntata del racconto... anche leggerlo rimaneggiato è sempre interessante. E, come al solito, è scritto molto bene! Un abbraccio, Clem, e sursum corda! :)

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    1. Grazie Cri, ricambio l’abbraccio e, sì, hai ragione: sursum corda!

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  2. Non poteva che essere un incipit già avvincente.
    Sono desiderosa di conoscere il seguito. :)

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  3. Urca! Me lo ero perso!
    Avvincente come inizio. Fa presupporre una gran serie di accadimenti notevoli.
    Vado a leggere la seconda parte, complimenti!

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    1. Cara Pat, i colpi di scena non mancano, vedrai! :-)
      Grazie dei complimenti che fanno sempre tanto bene!!! :D
      Un abbraccione!

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  4. Eccomi per il recupero di questo primo capitolo! Mi colpisce la tua scrittura, che trovo molto "scenica" *_*
    Vediamo che sta per accadere...

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    1. Ohoh... Che hai scritto, Glò! ^_^ *_*

      Una scrittura scenica... Siano benedetti sempre Brecht, Beckett e Carmelo Bene :D ;-)

      Scherzi a parte, non nego di avere in mente, anche se in modo grossolano, la pratica della messa in scena e istintivamente penso le mie storie in questa chiave.
      È bellissimo sentirsi dire che, nel mio piccolo, l'ho trasmesso <3

      Grazie, grazie, grazie! *_*

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dani.sanguanini@gmail.com